Da Vicchio Giulio
Giulio Rontini, in arte da Vicchio, l’ultimo dei post Macchiaioli.
All’Accademia delle belle arti, primo all’esame d’ammissione, aveva preferito gli insegnamenti del padre e di quella formidabile scuola dei post Macchiaioli, maneggiava i colori a modo suo, e piccolo dava sfogo al talento innato dipingendo i paesaggi del Mugello. Nel 1944, a 19 anni, quando decise che la tavolozza e i pastelli sarebbero stata il suo mestiere, Giulio, figlio di Ferruccio Rontini e Gilda Ciullini, diventò Giulio da Vicchio, il nome con il quale avrebbe firmato i quadri dove nacque e crebbe, Vicchio appunto.
E la strada sarebbe quella solcata dai post macchiaioli, e anche per questo decise di trasferirsi a Livorno, dove ha lavorato e vissuto fino a ieri.
A Livorno frequentò da subito la Bottega d’arte, storica galleria dove Giovanni Fattori lasciava in vendita i suoi bozzetti e i soci del «Gruppo Labronico», alla cui presidenza oltre a Giulio da Vicchio, si sono alternati personaggi del calibro di Ulvi Liegi, Nomellini, Gino Romiti, Carlo Borgiotti, Renato Natali, Carlo Domenici, Alberto Zampieri, Nedo Luschi, Gino Borgiotti.
Negli anni da Vicchio subisce il fascino delle due diverse terre, quella di origine, il Mugello, con quei paesaggi infiniti e verdi, talvolta crespi e cupi, fatti di vita dura nei campi, e quella di Livorno, con il profumo di mare e la crudezza dei suoi pescatori.
A un certo punto della sua vita da Vicchio fa un incontro decisivo per il suo percorso artistico: scoprirà la Sicilia, terra forte e drammatica con tutte le sue contraddizioni (si tratta degli anni Cinquanta) e ne vennero fuori le tele del periodo più bello.